Paris 2024, Zerogradinord intervista Michele Marchesini, Direttore Tecnico della Nazionale di Vela più titolata di sempre
Vela 14 Agosto 2024 Zerogradinord 0
Marsiglia – Tra gli artefici degli eccellenti risultati raccolti dai nostri velisti tra le boe dell’Olimpiade di Parigi 2024 c’è senza dubbio il Direttore Tecnico della Federazione Italiana Vela Michele Marchesini. Azzurro tra il 1997 e il 2005, Olimpionico ad Atene nel 2004, allenatore per la Spagna per i Giochi 2008, per la Svezia per i Giochi del 2012 (medaglia d’Oro con Lööf-Salminen), Marchesini ha speso le ultime due campagne Olimpiche per dare alla nostra nazionale di vela un’identità forte, un “metodo di crescita in grado di auto alimentarsi del suo stesso sapere e di aiutare gli atleti a costruirsi”, un sistema di lavoro che, a giudicare dai risultati, ha dimostrato di funzionare molto bene.
D: Si è appena conclusa l’Olimpiade migliore di sempre per la vela italiana: un’edizione da record per i nostri atleti, capaci di conquistare due Ori e di finire in Medal Race in quasi tutte le classi grazie a risultati di pregio…
MM: Pare scontato, ma abbiamo raccolto il frutto del lavoro degli ultimi anni. I risultati raggiunti a Parigi 2024 dai nostri atleti sono l’esito di un’accurata preparazione. Poi, si sa, nello sport, ancor più nella vela, non ci sono certezze e un’Olimpiade agisce da moltiplicatore di tanti e diversi fattori. Noi ci siamo presentati con la consapevolezza di poter contare su una squadra di spessore. Nel corso delle ultime stagioni le prestazioni erano state molto solide e avevamo delle dichiarate opzioni di medaglia. A Marsiglia, le dinamiche interne sono state pressoché perfette, va da sé poi che quando hai più bersagli non puoi essere certo di centrarli tutti, ma due Ori rappresentano un risultato del quale andiamo assolutamente orgogliosi.
D: In acqua vanno gli atleti, e sono loro a fare il risultato, ma a Marsiglia, seguendo le regate giorno dopo giorno, la Nazionale, a dispetto della giovanissima età di alcuni elementi, è apparsa più matura, organizzata, consapevole. Dettagli che sottolineano l’eccellente lavoro di un quadro tecnico super specializzato.
MM: E’ una riflessione corretta e mi fa molto piacere che questo traspaia. Tutto è partito da un cambio di impostazione deciso alcuni anni fa quando, selezionati i migliori profilinelle vare classi, abbiamo investito per costruire attorno a loro una struttura che fosse in grado di fornire il meglio in fatto di strumenti, programmazione, preparazione ed esperienza. Non mi riferisco solo a chi dello staff va direttamente in acqua, ma anche a chi è impegnato nel monitoraggio e analisi della performance, chi segue la preparazione atletica, la parte medica, quella fisioterapica, lo sviluppo e la cura dei materiali, la logistica e tutto il complesso mondo dietro le quinte. E’ stato un lavoro di squadra totale, impreziosito dal supporto di alcune eccellenze dell’industria italiana per l’analisi dei foil o per creare capi di abbigliamento aerodinamici: è un sistema che si auto alimenta del suo stesso sapere e aiuta gli atleti a costruirsi, a differenza del passato quando il singolo campione, una volta terminata la sua carriera, portava via con sé il retaggio tecnico. Che stessimo percorrendo la strada giusta l’ho capito da tempo, quando hanno iniziato ad arrivare risultati di spessore con una certa continuità e con interpreti diversi.
D: Un sistema che, una volta a pieno regime, potrebbe rendere i coach quasi intercambiabili tra le varie classi…
MM: Trattandosi di un sistema basato su un determinato metodo, sull’accumulo di informazioni e sulla loro condivisione, sulla programmazione del dettaglio, la super specializzazione di un tecnico in una singola classe diventa un fattore ripetibile, a vantaggio della flessibilità e della integrazione interna delle qualità dei tecnici. A vantaggio degli equipaggi.
D: Venendo alle varie classi: la classe ILCA, che da sempre è la più competitiva dell’intero bouquet a cinque cerchi, ci ha riservato ottimi risultati: entrambi gli atleti qualificati per la Medal Race, che Chiara Benini Floriani ha anche vinto finendo quinta in classifica generale…
MM: Chiara Benini Floriani ha fatto un’Olimpiade di altissimo livello: parliamo di una ragazza di 23 anni, instancabile negli allenamenti e con dentro il motore di un’incredibile determinazione. Aveva e ha quasi tutti i numeri per competere alla pari con le migliori. Si, le manca e le è mancato quel quid per andare a medaglia. Ha chiuso vincendo la Medal Race e la sua serie è stata complicata dall’ultimo parziale, rimediato in una regata disputata con condizioni al limite e anche sotto che, solo pochi minuti prima avevano portato all’annullamento di una prova nella quale Chiara stava facendo molto bene. E’ inutile entrare nelle dinamiche del nostro sport, ma la ripetizione ha goduto, se così si può dire, di condizioni peggiori. Torniamo da Marsiglia consapevoli che Chiara Benini Floriani, quinta classificata al pari di Marcel Jacobs per restituire le dimensioni delle imprese a cinque cerchi, è un ottimo profilo per costruire il futuro del nostro singolo femminile. Dietro di lei ci sono alcune promettenti giovane leve. Guardando ai maschi, Lorenzo Brando Chiavarini nell’ILCA 7 era reduce da un ottimo Mondiale di qualifica all’Aia, chiuso in top five, ed è entrato in Medal Race Olimpica in quella che, come giustamente hai sottolineato, è la classe più competitiva per numeri e prestazioni. Poteva fare forse qualcosa di meglio, ma non dimentichiamo che nell’ILCA non sai mai come va a finire, basti pensare che il francese Jean Baptiste Bernaz, dato tra i favoriti della vigilia, non è entrato in finale. Lo stesso il tedesco Buhl. Riassumendo, nell’ILCA non è stata medaglia, ma noi ci vediamo tanto su cui costruire: non bisogna mai perdere di vista il fatto che centrare la qualifica per una Medal Race equivale a essere finalisti in una qualsiasi gara di atletica: sei e vieni considerato un’eccellenza mondiale.
D: Parliamo di Nacra 17: è stata più la paura di perderla la medaglia o l’attesa di vincerla?
MM: Partiamo da un presupposto: Ruggero Tita e Caterina Banti sono stati gli unici ori italiani di Tokyo 2020 capaci di ripetersi a Paris 2024. Questo per dire che ciò che è parso scontato ha invece i contorni e il valore della grande impresa sportiva. A essere sincero io la paura di perdere il titolo non l’ho mai vista sui volti dei nostri ragazzi, ho visto invece sin da subito la determinazione nel volere la vittoria. A Marsiglia, anche in quarta giornata, quella iniziata con l’UFD, non si sono minimamente scomposti nonostante il team argentino stesse facendo molto bene. Anzi, si sono riorganizzati mentalmente e hanno conquistato la Medal Race con ancora più margine rispetto a Tokyo 2020. Negli ultimi due anni, nonostante fossero ben avanti a tutti, hanno lavorato senza sosta sui fondamentali e sui dettagli, sulla cura della preparazione fisica, dell’alimentazione, sui particolari dell’abbigliamento, sulle modalità di scelta e sulla cura dei materiali: una fame, una dedizione che ti aspetti da chi ancora deve arrivare a qualche risultato, non da chi egemonizza una classe da anni senza soluzione di continuità. Hanno posizionato l’asticella in quella che per loro è una zona di comfort, assolutamente irraggiungibile per gli altri e si sono goduti il loro secondo successo. Quando penso a Tita-Banti mi viene in mente Armand Duplantis, che nel salto con l’asta è il solo ad andare oltre i sei metri e vince l’oro staccando tutti di oltre venti centimetri: cosa gli vuoi dire?
D: Altri due finalisti ce li ha regalati il Kitesurf: bene sia Maggie Pescetto che Riccardo Pianosi…
MM: Erano due finali attese, ovviamente con orizzonti diversi. Riccardo Pianosi è sempre stato ai vertici della disciplina negli ultimi due anni, mentre Maggie Pescetto si è sempre confermata nell’ambito delle migliori dieci rider al Mondo. Le finali sono state amare per entrambi, con Pescetto che, pur risultando veloce e competitiva, ha perso qualche posizione e Pianosi che se l’è giocata fino alla fine ma ha dovuto fare i conti con la giornata di grazia di Valentin Bontus. L’austriaco, 108 chili, è riuscito a far volare sempre la vela da 23 metri quadri e ha trovato quel punto di VMG in più per chiudere la finale a suo favore. Devo dire che, quando alla bolina dell’ultima prova Pianosi ha girato davanti, il Bronzo era possibile per noi. Ripeto, sono soddisfatto dei nostri risultati nella classe e spero che questi, associati alla visibilità garantita dall’Olimpiade, animino un movimento giovanile e un concreto interesse verso questa disciplina. Lasciami comunque dire che l’evento dei kite è stato piuttosto complesso, criticato e ha sofferto più di tutti del vento leggero: consideriamo che si sono disputate appena la metà delle regate di qualificazione, per un totale di sette manche da sei-otto minuti, quando gli ILCA, per fare un esempio, hanno corso nelle qualifiche, otto prove da 40-45 minuti. Se si somma il tempo complessivo trascorso dai kiter in gara ci si accorge che, per quanto il loro evento sia stato lungo come quello delle altre classi, è risultato inferiore alla somma di due prove qualsiasi svolte sugli altri campi. Davanti a una situazione del genere, chi ha la barra in mano, la Federazione Internazionale, deve prendere delle decisioni, forse modificare il format troppo complicato: mi sarei aspettato un approccio più ragionato nel momento del lancio Olimpico di questa specialità. Comunque le regate di kite sono state godibili, c’è del potenziale e sono convinto che si siano raccolti gli spunti per lavorare e far meglio in vista di Los Angeles 2028.
D: Ci sarà del lavoro da fare anche per cercare di far meglio nel 470 Misto, dove abbiamo mancato la Medal Race e nel 49er dove, a differenza del 49er:FX, non abbiamo qualificato la Nazione.
MM: Il 470 Misto è stata l’unica classe che, mancando la qualifica per la Medal Race, non ha raggiunto gli standard del nostro team: a voler ben vedere Elena Berta e Bruno Festo hanno pagato molto cara una bandiera gialla, una penalità all’arrivo della sesta regata di qualificazione, per colpa della quale hanno perso una decina di punti, ma in generale la loro è stata una partecipazione sotto tono, ci aspettavamo qualcosa di più. Siamo comunque impegnati da più di un anno nel ricostruire il 470 italiano a livello di movimento: già da tempo sono stati organizzati raduni riservati ai giovani per individuare i talenti migliori e ci aspettiamo interessanti novità già all’Italiano del prossimo autunno. Inoltre, restano sempre in gioco Berta-Festo, e Ferrari-Dubbini, altro binomio esperto. Il 49er italiano, a causa di un cambio di generazione, equivale a una tela bianca: stiamo individuando i profili e gli abbinamenti più interessanti, da supportare nell’ambito di una classe che ormai è diventata molto competitiva e dove rientrano anche le caratteristiche fisiche a dettare le gerarchie. In generale tutto l’approccio al prossimo quadriennio dovrà basarsi su questa linea, identificheremo e formeremo a monte i progetti, gli equipaggi sulla base di valutazioni dei profili dei singoli e su questi lavoreremo. Siamo molto confidenti: come spiegato, abbiamo gli strumenti per aiutare i nostri ragazzi a crescere.
D: Nel 49er:FX, invece, bene l’Olimpiade di Jana Germani e Giorgia Bertuzzi: tanta personalità, un po’ di autocritica e un quinto di belle speranze…
MM: Per Germani-Bertuzzi vale un po’lo stesso discorso fatto per Chiara Benini Floriani: addirittura il loro percorso di avvicinamento era stato migliore dato che negli ultimi internazionali avevano fatto benissimo in tre su sei occasioni. Purtroppo, il passaggio a vuoto del terzo giorno, quando hanno rimediato un 17-17-16 dimostrando qualche problema di gestione nell’ambito di un evento del genere, le ha penalizzate in modo praticamente irrimediabile in chiave podio. Qualora dovessero decidere di proseguire, sono una grande risorsa per il futuro: dopo un quinto, all’Olimpiade ci torni per fare davvero medaglia, per quanto a oggi le olandesi Van Aanholt-Duetz e le svedesi Bobeck-Netzler siano atlete di livello superiore. Non dimentichiamo poi che a prua del bimonio giunto terzo c’era Charline Picon, già Oro olimpico nell’RS:X a Rio de Janeiro e Argento a Tokyo.
D: Infine la più emozionante delle medaglie: l’oro di Marta Maggetti. Ti aspettavi un risultato del genere?
MM: Dipende da “quando” posizioniamo questa domanda: dopo il Mondiale vinto nel 2022 ti avrei risposto sì, due mesi fa avrei puntato su un’Olimpiade da protagonista, nei giorni immediatamente precedenti le regate sarei tornato a scommettere senza dubbio sulla medaglia. A Marsiglia Marta Maggetti, che ha fatto una campagna ottima seguita dal suo coach Riccardo Belli Dall’Isca ed è una ragazza di un’umiltà incredibile, è stata sempre concentrata e concreta: che ci fosse del buono in vista era tangibile. Nel nostro sport il difficile è fare le cose facili e Marta ha confermato questa regola: non è caduta in nessuna delle tagliole tecniche, mentali ed emozionali tipiche dell’Olimpiade, è arrivata fino in fondo lucida, come un killer. A darle la medaglia non è stata una mossa estemporanea, lei aveva chiaro il campo, il posizionamento e ha capito che le altre si stavano allungando troppo, stavano sbagliando, Maggetti ha letto la lay-line, ha considerato la tendenza sinistra del vento nel modo giusto e si è andata a conquistare l’Oro, la Storia. Avevo avvisato i ragazzi: non pensiate che ad un Olimpiade non possano capitare errori da regate di circolo, tenete gli occhi aperti e siate pronti ad approfittare di ogni singola opportunità.
D: Del resto in Amici Miei si sosteneva che il genio sia fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione.
MM: E allora Marta Maggetti ha vinto il suo oro dimostrando di essere un genio assoluto.
D: Oltre alla neo campionessa Olimpica, il movimento italiano del windsurf ha in serbo altro talento…
MM: Assolutamente si. Oltre a Marta Maggetti, nella classe abbiamo altre risorse di qualità sia nelle femmine che nei maschi, ragazze a ragazzi che hanno già vinto molto a livello Under 21 e Under 19. Per loro Marta Maggetti è l’esempio da seguire: sono otto anni che questa atleta è in squadra e ha fatto un percorso al limite della perfezione.
D: Infine, un commento all’Olimpiade di Nicolò Renna, protagonista nell’iQFoil Maschile…
MM: Nicolò Renna ha fatto una buona Olimpiade. Se mi rifai, Mauro, la stessa domanda che mi hai fatto per Marta Maggetti, ti rispondo nuovamente che ti avrei risposto in mdo diverso qualche mese prima o a pochi giorni dalle Olimpiadi. Il nostro windsurfista è rimasto schiacciato da fattori esterni, situazioni che hanno iniziato a influire da lontano e che alle Olimpiadi puoi pagare carissime. Peccato. Ha provato ad essere protagonista sino alla fine, ma non era completamente lui. Oggi Nicolò rappresenta a livello maschile il meglio del nostro movimento sulle tavole a vela, un movimento che, lo ricordiamo, ci ha da sempre portato buone soddisfazioni e non ho motivo di pensare che questa tendenza possa cambiare in futuro.
D: Ora che le regate a cinque cerchi sono finite cosa c’è nell’immediato futuro della nostra nazionale?
MM: Il primo confronto relativo ai prossimi passi sarà con il Presidente Francesco Ettorre e con il Performance Manager e coordinatore Luca De Pedrini. Sicuramente ho le idee chiare su quale sarà l’impostazione del nuovo ciclo Olimpico nel caso ci sarà continuità tecnica.
D: Necessariamente, la Federazione dovrà passare attraverso l’elezione di Consiglio Federale e Presidente, dati i risultati non penso ci saranno grandi rivoluzioni, almeno ce lo auguriamo: su dieci eventi medaglia due sono gli Ori raccolti, nessuna federazione hanno fatto meglio di due Ori, solo vela e Nuoto!
MM: Fai bene a sottolineare il numero degli eventi medaglia, anche perché, solo per fare due esempi, l’Atletica ne ha più di cinquanta e il Nuoto intorno ai quaranta, con la possibilità di impiegare gli stessi atleti in distanze e gare molto simili: già questo ci fa capire che fare bottino nella vela non è cosa semplice. A parte queste valutazioni, credo anche io che, in questo momento, andare a mettere la mani sull’ impostazione tecnica rappresenti più un rischio che un potenziale vantaggio: certo, ci sono alcune cose da migliorare, ottimizzazioni da fare, vanno sistemati alcuni punti deboli ma tutto rientra nell’abito della normale gestione di una squadra agonistica. Non spetterà a me la decisione su chi dovrà gestire la guida tecnica o da chi saranno composti i gruppi di lavoro, ma da persona coinvolta e da appassionato di questo sport credo che la strada che si sta percorrendo in Italia sia quella giusta.
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