Volvo Ocean Race, iniziata l’operazione di recupero di Team Vestas Wind
IncidentiOceanoTeam Vestas WindVelaVolvo Ocean Race 18 Dicembre 2014 Zerogradinord 0
Mauritius – Lo skipper di Team Vestas Wind, Chris Nicholson, è tornato sulla remota barriera corallina dell’oceano Indiano per aiutare e soprintendere alla complessa operazione di recupero della barca, gravemente danneggiata dopo essersi incagliata durante la seconda tappa della Volvo Ocean Race quasi tre settimane fa.
Il quarantacinquenne velista australiano è tornato a Mauritius la scorsa notte, il 17 dicembre, per raggiunger il capo dello shore team Neil Cox, che sta coordinando l’operazione. Cox è uno degli uomini più esperti nel mondo della vela oceanica ma la sfida di liberare la barca dalla barriere corallina di Cargados Carajos Shoals (St Brandon), è un progetto del tutto nuovo e inaspettato anche per lui. La barca si è incagliata nel pomeriggio del 29 novembre, quando ha colpito a una velocità di circa 19 nodi il reef, costringendo Nicholson e gli altri otto componenti dell’equipaggio ad abbandonarla, fortunatamente senza conseguenze per gli uomini.
“Il nostro obiettivo è quello di riportare la barca a galleggiare per raggiungere la laguna e acque più protette – ha spiegato Cox – Ciò potrebbe evitare che la barca continui a distruggersi sulla barriera e, al tempo stesso, una volta raggiunta l’altra parte del reef, cercare di riportarla a uno stato che ci permetta o di rimorchiarla a Mauritius oppure di usare la gru di una nave della Maersk Line per caricarla a bordo”.
Cox, che ha lavorato con Nicholson su due campagne precedenti della Volvo Ocean Race ha aggiunto che: “In passato mi si sono presentati scenari abbastanza strani, ma questo è davvero unico”. Nicholson e Cox hanno predisposto l’operazione di salvataggio nella capitale di Mauritius Port Louis, con l’appoggio delle risorse locali e affittando una barca che useranno come base, avendo potuto sdoganare tutte le attrezzature necessarie e ottenendo i permessi per tornare nell’arcipelago, a circa 430 chilometri di distanza dal luogo dove si trova la barca.
“Faremo base su questo mezzo di appoggio, all’interno della laguna, che si trova sottovento alla barriera e a circa due miglia e mezzo dalla barca. Il mezzo ha le necessarie strutture per permetterci di vivere a bordo, perché non potremmo vivere sull’isola. Abbiamo anche affittato delle barche da pesca locali per attraversare la laguna. Bisognerà però verificare quanto è solida la barca dal punto di vista strutturale e che cosa sia necessario per poterla far rigalleggiare. Prevediamo di portare con noi ogni pezzo che galleggi – ha spiegato ancora Cox – Vogliamo recuperare il più possibile. Cercheremo di fare il possibile per riprendere qualsiasi cosa che possa essere riciclata o usata per una potenziale nuova barca, Però si tratta di un luogo molto pericoloso dove lavorare, non ci sono tutte le strutture degli stopover, è nel mezzo dell’oceano e siamo da soli. E, per quanto non voglia fare battute sugli squali, sì ci sono molti squali sulla barriera durante la notte”.
Cox ammette che pur avendo visto cose incredibili durante la sua carriera, questa situazione continua a lasciarlo senza parole: “Ogni tanto mi sembra di risvegliarmi da un brutto sogno e mi dico, caspita è l’incubo peggiore che abbia fatto da tanto tempo”.
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