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È poi c’è Carcano… Poche figure nello yachting dello scorso secolo hanno avuto l’estro e la visione dell’ingegnere lombardo – classe 1910 – che...

Genova – È poi c’è Carcano… Poche figure nello yachting dello scorso secolo hanno avuto l’estro e la visione dell’ingegnere lombardo – classe 1910 – che ha lasciato nella vela, e nella storia della progettazione, impronte tanto importanti. Dalla meccanica, suo è il motore V7 che ancora oggi costituisce la base delle produzioni della Moto Guzzi, il bob a due per le Olimpiadi del 1956, passando dal canottaggio per arrivare alla lunga teoria di barche ‘strane’, tutte caratterizzate dal nome che iniziava per V, e finiva per A

“Vedi, caro Risso, ero seduto al circolo della Guzzi a Mandello Lario e vedevo i ragazzi del ‘4 con’ allenarsi e avevo notato che la scia della canoa era lievemente irregolare; ho suggerito una piccola modifica”. Questa “piccola” modifica suggerita a quei ragazzi, posizionando il primo e il quarto remo da un lato e i due centrali dall’altro, gli ha fatto vincere l’oro ai Giochi del 1956. Da allora tutti, nel mondo, vogano così.
In queste 3 righe c’è tutta l’umiltà del genio e l’essenza di un eclettico personaggio che tanto ha dato al nostro Paese, ma che ancora in pochi conoscono, fatta forse eccezione per gli appassionati della Moto Guzzi e i velisti sopra i 50 anni.

Giulio Cesare Carcano nacque a Milano il 20 novembre 1910 e, sempre a Milano, si laureò al Politecnico nel 1934 a 24 anni. Da ragazzo passava le vacanze estive a Mandello del Lario e quindi fu attirato dalle vicende delle Moto Guzzi (ancora oggi un polo di attrazione di quella zona). Entrò quindi nel 1936 a far parte dello staff tecnico della Moto Guzzi. Al nome di Giulio Cesare Carcano sono legati tutti i progetti – da corsa e da strada – che hanno consolidato nel dopoguerra la fama mondiale della Moto Guzzi creata da Carlo Guzzi nei primi vent’anni di vita dell’azienda.
Nel campo delle competizioni Carcano ha ideato soluzioni tecniche vincenti con motori a uno come a otto cilindri, esasperando in entrambi i casi, e con successo, le opposte tendenze della tecnica da corsa.
Analoga filosofia lo ha guidato nel disegno e la progettazione delle barche a vela, a partire da Volpina, il suo primo 5.5 S.I con cui si presentò sulla linea di partenza dei mondiali di Helsinki da autentico underdog. Era il 1961 e relativamente alle performance di I-30 (questo il numero sulla randa dell’ingegnere) il giornalista Bruno Ziravello concluse un articolo sull’equipaggio italiano con queste illuminate parole: “Cominciò pian piano a far regate che a tutta prima non furono molto soddisfacenti poi cominciò a dar fastidio…”.

Da Helsinki in avanti, Carcano si dedicò alla progettazione di una lunga serie di barche che si distinguevano da tutto ciò che si era visto fino ad allora. Volpina, Vihuela, Vampa, Vanessa, Villanella, Vanilla… E Vinca, sicuramente quella più strana. Era avanti Carcano, e lo sapeva. Progettava in maniera maniacale tutto, ottimizzava i pesi, studiava forme e appendici, sperimentava materiali, ideò i timoni appesi a poppa, fu precursore del dislocamento leggero, utilizzò armi frazionati con il risultato di fare delle barche dalle forme sorprendenti e con prestazioni sbalorditive, soprattutto nelle andature portanti. Tradizione vuole che a lui si siano ispirati i maggiori designer contemporanei, come non è difficile, ora, intravedere nelle linee delle sue barche, gli Open Oceanici attuali.
‘Ma dato che non faccio questo lavoro per vivere, le cose o le faccio come dico io o non le faccio per niente’. Questa la ‘ricetta Carcano’ che guidava il suo pensiero e che forse stava alla base del suo successo: l’indipendenza intellettuale.

Giulio Cesare Carcano è stato socio attivo dello Yacht Club Italiano dal 1960 al 2005, anno della sua scomparsa.

Per celebrare la sua vita e il suo estro, venerdì 25 gennaio dalle 19:30, una serata al Club con una conferenza sulla sua vita, con testimonianze e racconti inediti di chi oggi ne apprezza la preziosa eredità. Da venerdì 25 a lunedì 28 gennaio, in esposizione in sede: documenti, fotografie, alcune delle sue motociclette più importanti – tra cui quella che fece sbalordire il mondo, la famosa 500 cc a 8 cilindri, un ‘quattro con’ da canottaggio e, in acqua, il mitico Vampa, il suo primo progetto per le regate d’altura; disegnato nel 1967 e varato nel 1968 dal Cantiere di Donoratico.

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