Napoli – Già skipper di Shosholoza nel corso della 32ma America’s Cup e numero tre del mondo nell’arte dell’uno contro uno, Paolo Cian è tra i timonieri italiani più noti ed apprezzati. Zerogradinord.it lo ha intervistato per conoscere il suo punto di vista circa le scelte fatte dal Defender, Oracle Racing, e circa la fase che sta attualmente vivendo la comunità velica interessata alla Coppa America.
ZGN: Ciao Paolo, benvenuto su Zerogradinord.it. Partiamo da una considerazione ad ampio spettro: da protagonista delle ultime edizioni dell’America’s Cup, come giudichi le scelte dell’Oracle Racing Defender?
PC: Beh, le scelte di fondo operate da Oracle Racing sono sicuramente coraggiose e radicali e, come sempre accade in casi del genere, comportano dei rischi. Dopo una lunga serie di successi, Russell Coutts si deve essere domandato se non fosse giunto il momento che le barche di Coppa America venissero percepite dal pubblico come delle vere e proprie Formula Uno del mare e ha immaginato dei mezzi che dovessero raggiungere velocità ben superiori a quelle toccate da ogni altra barca a propulsione eolica. E’ una visione condivisibile, perché le barche utilizzate a Valencia, pur essendo iper-tecnologiche, erano nate come dislocanti. Il bisogno di oggetti più veloci credo fosse percepito da tutti come una necessità. Nell’essere radicale come solo lui sa essere, Russell Coutts ha tagliato i ponti con il passato e ha messo in acqua un oggetto che, pur galleggiando ed essendo spinto dal vento, è un po’ distante dal concetto di barca cui è abituato il pubblico. Siamo davanti a una scommessa e bisognerà vedere se questa scommessa riuscirà a dare continuità a quanto è stato fatto fino alla Coppa di Valencia dove, ai velisti, era stata data la possibilità, unica nel suo genere, di divertirsi moltissimo. Credo infatti che, in quell’occasione, Alinghi abbia avuto il merito di aver creato un evento godibile per il pubblico e per chi ne è stato protagonista.
ZGN: …una scommessa all’insegna della discontinuità…
PC: Proprio così. Il punto di discontinuità con il passato, oltre che nella crisi economica, va individuato nel fatto che, quando volti pagina, tutti i team pronti a partire in tempi rapidi con una barca vecchia, vengono praticamente azzerati. Per esprimere un giudizio definitivo bisognerebbe sapere quanti dei team attualmente iscritti saranno in grado di andare avanti: non credo affatto che tutti e quindici ce la faranno. Sarebbe davvero importante capire se almeno otto o dieci di questi sono seriamente intenzionati a partire. Ben diverso è lo scenario se lo stanno semplicemente dichiarando perché questo può aiutare a muovere il primo passo…
ZGN: Tornando al ragionamento relativo alle Formula Uno del mare. A tuo modo di vedere è un concetto collegato più alle prestazioni delle barche o più alla loro unicità? Se guardiamo all’aspetto tecnologico, paragonabile alla Formula Uno poteva essere anche l’AC90 immaginato da Alinghi…
PC: Sono assolutamente d’accordo con te. Secondo me si doveva andare verso un’evoluzione e non una rivoluzione. In ambito di automobili, volendo utilizzare lo stesso parallelo, l’oggetto che cammina di più in assoluto non sono le Formula Uno, ma i dragster che hanno settemila cavalli, fanno da zero a cento in un secondo e si fermano utilizzando un paracadute. Può anche essere divertente, ma per i primi dieci minuti. Poi, mancando la competizione, cala l’interesse. La Formula Uno interessa l’automobilista perché ha guidato un mezzo analogo, con quattro ruote, e sa quali sono le sensazioni e le problematiche che si provano nel prendere una curva in velocità. Davanti alla televisione si emoziona immaginando cosa si prova a prendere una curva a velocità molto più elevate. Ma se fai diventare quella macchina un missile che vola senza toccare l’asfalto corri il rischio di bloccare il meccanismo. Ripeto, questo è il rischio cui si sta’ andando incontro.
ZGN: …a parte i soliti noti, Artemis ed Emirates Team New Zealand, pare che siano in pochi ad avere già chiuso il budget. Tra questi potrebbero esserci China Team e Team Korea che hanno però poca esperienza…
PC: …l’esperienza si compra, è un problema secondario. Magari non quella necessaria a vincere, ma comunque sufficiente a gettare le basi sulle quali costruire qualche sfida futura. Se ci pensi, da un qualche punto devi pur cominciare. Per quanto riguarda gli altri, una delle incognite è capire se un team come Emirates Team New Zealand è davvero pronto per ripartire: si tratta di un team ben strutturato e se la macchine torneranno a pieno regime sarà certamente una sfida credibile. Poi, lasciami spezzare una lancia a favore dei francesi: sono in ballo con tre sfide, e sono tante, ma è anche vero che la Coppa sarà sui multiscafi e credono abbiano ragione ad avere qualche velleità in più. Tutto sommato, per un’economia come quella francese, avere tre team iscritti non sia tanto più complesso di quanto avvenne nel 2007, quando a partecipare con tre sindacati è stata l’Italia.
ZGN: …a proposito di Italia, come giudichi l’attuale situazione nostrana? Come si sta preparando il movimento velico nazionale in vista della prossima Coppa?
PC: A me sembra di leggere un po’ di scetticismo. Tutte le cose che ci siamo detti sino ad ora pesano sull’Italia “velica” che, a Valencia, aveva tre team in acqua anche per merito della formula, ritenuta coinvolgente e divertente. Ora, se lo possa diventare anche la 34ma è tutto da vedere. E’ per questo che stiamo vivendo una fase di disamore e di perplessità.
ZGN: Ti è capitato, nel corso degli ultimi mesi, di parlare con armatori potenzialmente interessati a partecipare che poi, visto lo stato delle cose e l’impossibilità di mettere insieme un team competitivo, hanno cambiato idea?
PC: Secondo me il problema non è tanto collegato all’aspetto agonistico. Il problema è che, trattandosi di un’impresa molto costosa, dipendente dagli sponsor, riuscire a convincere gli investitori circa il valore delle scelte fatte e che entro breve vedremo una vela meravigliosa, molto migliore di quella di prima, non è affatto facile. Ti posso dire che ho parlato almeno con due realtà intenzionate a ripartire per una campagna tradizionale e che, viste tutte queste incertezze, non ci pensano neanche.
ZGN: Hai una grande esperienza in fatto di match race e alcuni dei duelli visti nelle ultime edizioni della Coppa sono entrati di diritto nella storia della vela. Credi che il nuovo format influirà negativamente sulla spettacolarità dell’America’s Cup?
PC: E’ difficile dare una risposta ora, anche perché il concetto di spettacolarità è soggettivo. Credo che i match visti a Valencia siano stati senza dubbio molto spettacolari perché disputati tutti con le barche molto vicine e anche team con budget più contenuto erano in grado di battere i sindacati più facoltosi. Questo, evidentemente, non ha fatto piacere ad Alinghi, che ha cercato di cambiare il Protocollo, e ancor di meno ad Oracle Racing che, vinta la Coppa con i multiscafi, ha deciso di insistere sulla stessa strada nella convinzione di essere nuovamente vincente. Tornando alla domanda, posto che le regole andavano riscritte visto il tipo di mezzo scelto, resta comunque il rischio concreto per la prima edizione, e forse anche nella seconda, di vedere match nei quali uno dei duellanti cammina tanto di più che cambiare “le regole di ingaggio” potrebbe rivelarsi del tutto superfluo, perché magari non si ingaggiano proprio.
ZGN: Che giudizio dai alle nuove regole scritte per il match race di Coppa America?
PC: Mah, bisognava proporre qualcosa di diverso. Il rischio poteva essere quello di vedere due catamarani che nemmeno riescono a partire. Vedo tanti problemi. Sono sicuro che le penalità a tempo, con un arbitro che, GPS alla mano, decide se ti ha rallentato abbastanza, saranno fonte di mille polemiche perché è un aspetto del gioco difficilmente controllabile da parte dei concorrenti che, con ogni probabilità, si faranno raccontare a fine regata da chi l’ha vista in studio come sono andate realmente le cose. Risulta evidente che le perplessità sono moltissime e che il divario tra la Coppa America e il velista normale è destinato ad ampliarsi moltissimo. La strategia di fondo, infatti, potrebbe colpire positivamente gli appassionati di sport in senso lato, ma rischia di perdere gli appassionati veri che, avendo provato l’emozione della vela sulle barche di cui sono armatori o su quelle di amici, non si riconoscono in un oggetto volante così differente da tutto ciò che hanno visto in passato. Credo inoltre che il travaso di tecnologia tra il mondo della Coppa America e quello del diporto, tipico della storia dell’America’s Cup, cesserà molto rapidamente. Ripeto, è difficilissimo fare un pronostico, ma la scelta è davvero estrema e il rischio molto elevato.
ZGN: Venendo al tuo 2011, sarai impegnato nel World Match Racing Tour?
PC: Non parteciperò al World Match Racing Tour, come del resto ho fatto lo scorso anno partecipando a solo due tappe. Il circuito di match race deve essere fatto per intero perché con poche apparizioni non sei in grado di competere per il titolo e nemmeno di creare un team in grado di impensierire gli habitué. Ho potuto farlo per diversi anni e ho avuto modo di imparare moltissimo. E’ stato tempo speso bene. Ora la situazione è diversa, e questo mi dispiace molto. La mancanza di contatto con la Coppa America, proprio perché la competenza specifica nell’uno contro uno potrebbe essere del tutto inutile, danneggerà pesantemente il circuito. A sottolineare ciò ci sono la rinunce a partecipare da parte di alcuni grossi nomi e il mancato interesse da parte dei team di Coppa. E’ un vero peccato, perché è una vela istruttiva e divertente e poi perché molti personaggi di spicco della vela mondiale, incluso lo stesso Russell Coutts, sono usciti proprio dall’uno contro uno. Per questo credo che, anche su questo, Russell avrebbe potuto riflettere un attimo di più. Fermo restando che il suo obiettivo era quello di fare la rivoluzione copernicana, a questa rivoluzione ha sacrificato anche il concetto di match race in senso più ampio.
ZGN: Al tirar delle somme possiamo dire che avresti preferito un evento più legato alla tradizione?
PC: Per carità, poiché tutto evolve può essere che si sia imboccata la direzione giusta. Ma, al momento, è come se qualcuno decidesse che le linee attuali del campo da tennis hanno stancato e che, per aumentare lo spettacolo, devi farlo più lungo, più largo, con la rete alta il doppio e con quattro giocatori per parte. Certo, lo puoi chiamare sempre tennis, ma credo che ci siano sport legati alle tradizioni e che per sconvolgerli completamente devi avere delle motivazioni molto forti.
ZGN: Secondo Oracle Racing la nuova Coppa America darà visibilità a una nuova generazione di velisti. Pensi sarà veramente così, o alla fine vedremo sempre i soliti volti noti?
PC: Mah, è una Coppa che sicuramente lascerà spazio ai giovani talenti, ma non mi pare che nei team del passato non ci fosse spazio per i talenti emergenti. Del resto abbiamo un esempio concreto che ci arriva proprio dall’ultima Coppa America. Alinghi e Oracle Racing hanno dimostrato che se prendi i grandi campioni, come James Spithill, e li metti a sviluppare il concetto multiscafo con tanto tempo davanti, questi avranno ben poco da invidiare a uomini come Loick Peyron, da sempre impegnati nel settore. Non mi meraviglierò di vedere sempre gli stessi nomi impegnati nello sviluppo delle barche, così come non mi meraviglierò di vedere nuovi volti a bordo. La storia della Coppa America è sempre stata questa. Il problema secondo me non c’era.
ZGN: Pochi giorni fa, Flavio Favini ha dichiarato che Oracle Racing è due edizioni avanti agli altri. Secondo te il vantaggio degli statunitensi è così marcato?
PC: E’ più marcato di quello che appare all’esterno. Hanno fatto uno studio approfondito già in vista dell’ultima edizione che potrebbero fermare la ricerca e vincere comunque. Gli americani sono talmente consci di questo che hanno proposto ai team un pacchetto base comprendente i progetti di ala rigida, scafi e quant’altro necessario: se sono disponibili a venderti un kit versione uno, vuol dire che loro sono almeno arrivati alla versione tre.
ZGN: Il nuovo formato, che per molti team implica la necessità di partire da zero, potrebbe favorire l’exploit di qualche outsider, premiato magari da un’idea progettuale innovativa?
PC: No. E’ una Coppa molto più blindata delle altre. Il livellamento visto a Valencia avvantaggia team che non hanno risorse da spendere in ricerca scientifica e hanno giusto quello che gli serve per mandare avanti la campagna. Per loro, un buon risultato è collegato unicamente alla speranza che il divario tra le barche, in termine di innovazione, sia molto contenuto. Vista la rivoluzione imposta, è ovvio che chi è partito in anticipo, e ha consistenti budget dalla sua, risulterà assolutamente inarrivabile per le new entry.
ZGN: La mancanza di una tappa mediterranea pensi possa rappresentare un danno per chi è ancora alle prese con il fund rising?
PC: Credo che sia un danno per chi affaccia sul Mediterraneo ed è ancora in cerca di soldi e credo anche che sia un danno per il marketing della Coppa in sé. E’ evidente che l’edizione di Valencia è stata senza dubbio quella che ha coinvolto il maggior numero di appassionati. L’Act di Trapani, poi, è stato quello che ha attratto più pubblico e ha generato il maggior numero di contatti. Non fissare una tappa in Mediterraneo, dov’è già consolidato il contatto con il pubblico, è stato assolutamente un autogol.
ZGN: Secondo alcuni la scelta di San Francisco, come sede dell’America’s Cup vera e propria, era scontata. Secondo altri si doveva continuare a puntare sull’Europa. Qual’è la tua idea?
PC: La scelta azzeccata poteva essere quella di fissare l’America’s Cup Match negli Stati Uniti e un evento di elevata importanza tecnica, come la selezione dello sfidante, in Europa, in una città come Valencia. In un posto dove il successo di pubblico sarebbe stato facile e opportuno.
ZGN: Poco fa mi dicevi che quast’anno non sarai sui campi del match race. Dove ti incontreremo?
PC: Sicuramente nel corso del 2011 mi dedicherò alla monotipia, con il Melges 32, e all’altura con Scugnizza, l’NM 38 con il quale ho appena vinto il Trofeo Accademia Navale. Sono programmi importanti, che mi danno soddisfazione e riempiono in pieno la mia stagione. Se poi dovessero esserci altri progetti interessanti li valuterò con attenzione. L’anno scorso è stata una bella stagione con i GP42; quest’anno non se n’è presentata la possibilità visto che la classe è stata esclusa dall’Audi MedCup…
ZGN: …e i Soto 40 che li hanno sostituiti, al momento, sembrano essere solo quattro…
PC: …è un dato che va sottolineato. Anche in questo caso le leggi del marketing sono ferree e penso che le scelte di Nacho Postigo siano state un po’ forzate. E’ stata una scelta radicale che, al momento, non si è rivelata risolutiva… per lo meno presenta gli stessi problemi di prima. E’ un peccato, perché la classe GP42 era davvero divertente.
ZGN: Nel Melges 32 stai portando avanti un nuovo progetto…
PC: Antonello Morina, l’armatore-timoniere, ha già regatato con il Melges 32 e poi si è fermato per un paio di stagioni. E’ una persona molto impegnata a causa del suo business, ma è anche un armatore molto motivato. Ha messo in piedi un progetto di lungo respiro, che dovrebbe abbracciare due o tre anni, e in questo momento il nostro obiettivo è dare coesione all’equipaggio e raccogliere quante più informazioni possibili circa il Melges 32.
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